SCdM Posts - La guerra tra il potere dell'apparato pubblico e le esigenze del settore privato e le possibili conseguenze

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SCdM Posts - La guerra tra il potere dell'apparato pubblico e le esigenze del settore privato e le possibili conseguenze

SCdM
Pubblicato da SCdM in SCdM Posts · 13 Novembre 2013
"Quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è un diritto e un dovere del cittadino." (Giuseppe Dossetti)

La crisi dell'Italia - che è iniziata alcuni decenni fa' e che ora mostra tutta la sua portata con un'ulteriore accelerazione - deve essere letta anche come una progressiva contrapposizione tra l'apparato pubblico e parapubblico e il settore privato, con il primo che ha acquisito un sempre maggiore potere e una crescente capacità di interdizione che riduce gli spazi di cambiamento e di rinnovamento per rilanciare la produttività e la competitività del nostro paese.
Con apparato "parapubblico" ci si riferisce a quello che, sebbene abbia una configurazione giuridica privata ha logiche di governance e di funzionamento che sono del tutto simili a quelle dell'apparato pubblico. A questa fattispecie, tra le altre, appartengono le banche (che, in effetti, vengono tutte da una precedente proprietà pubblica e ora sono controllate da entità parapubbliche come le fondazioni), la miriade di aziende controllate dallo Stato centrale e dagli enti locali e alcune imprese private le cui attività dipendono strettamente dalle regole, autorizzazioni, concessioni e sovvenzioni pubbliche e che, di fatto, operano in regime di "mercato protetto".
In effetti, la crisi strutturale del nostro paese comincia a formarsi da quando la spesa pubblica inizia a salire all'inizo degli anni '70 e poi, dagli anni '80 del secolo scorso, assume livelli fuori controllo e mai più risanati, nonostante la crescente pressione fiscale e la politica deflazionistica di riduzione del deficit di bilancio pubblico degli ultimi due decenni.
La crescita del debito pubblico ha portato per qualche tempo al sostegno della domanda interna, soprattutto nel Sud Italia, e poteva essere giustificata in parte dall'esistenza dei blocchi politici internazionali e dalla presenza in Italia di rilevanti forze politiche e sociali più stataliste e sostenitrici di un modello economico alternativo a quello privatistico.
Tuttavia, la crescita del debito pubblico, soprattutto per spese correnti e non per investimenti, ha indebolidoto le condizioni di produttività e di competitività del sistema imprenditoriale, ha ridotto la cultura di mercato e d'innovazione del settore privato che è diventato in molte parti dipendente dagli aiuti pubblici, diretti ed indiretti, e ha generato un apparato pubblico ridondante, inefficiente e funzionalmente "corruttibile" (il potere di interdizione porta alla corruzione) e che è diventato sempre meno gestibile e controllabile con il maggior ruolo e peso delle Regioni che sono diventate, per i cittadini e le realtà economiche e istituzionali locali, una sovra-struttura simile a ciò che è la burocrazia dell'Unione Europea per gli stati membri.
Questo apparato pubblico si è andato, nel tempo, rafforzando e ha progressivamente conquistato le leve del potere e ha agito per la sua sopravvivenza e ulteriore crescita sia in termini numerici sia in termini di risorse acquisite e controllate e, come tale, senza alcuna intenzione di auto-limitarsi e auto-riformarsi.
Il crescente potere dell'apparato pubblico e parapubblico rende molto difficile rilanciare e attuare politiche finalizzate all'innovazione, alla produttività, alla crescita di nuova imprenditorialità anche perchè questa condizione ha portato all'affermazione di una cultura burocratica, autoreferenziata, consociativa e corporativa che non dipende dalla capacità competitiva ma da quella di mantenere le proprie posizioni di privilegio anche sottraendo risorse al settore privato.


In questa sede non s'intende approfondire le cause e le possibili soluzioni di questa degenerazione del ruolo dell'Amministrazione Pubblica perchè richiedere un trattamento allargato e dedicato in cui si deve tenere conto di come a questa condizione abbia contribuito la classe dirigente che ha rappresentato e dominato il settore privato in questi ultimi decenni e che ha operato in modo consociativo e opportunistico con il settore pubblico e parapubblico per ottenere vantaggi personali e parziali e senza alcun interesse per l'interesse generale e le prospettive di più lungo termine del nostro sistema economico e sociale.

Ciò che si vuole fare è mettere al centro della riflessione generale la rilevanza del fenomeno, di come esso abbia raggiunto livelli e condizioni sempre più difficili da riformare e di quali conseguenze logiche e necessitate che tutto ciò possa determinare, che vanno ben oltre la situazione di relativa passività e depressione che il settore privato sembra mostrare in questa fase storica.

Per indicare le conseguenze logiche e necessitate di questa contrapposizione di potere e del ruolo "degenerativo" dello Stato, e per darne ancora maggiore forza, non si riportano le posizioni di esponenti della cultura liberalista e antistatalista ma bensì quelle - già citate all'inizio di questo scritto - di Giuseppe Dossetti, uno dei padri dell'attuale Costituzione, certamente caratterizzata da valori e principi di forte ispirazione pubblica e sociale e, altresì, uno dei fondatori della sinistra democristiana, ossia di quella componente del mondo politico di matrice cattolica più attenta alle tematiche sociali e al ruolo dello Stato per favorire i processi di emancipazione sociale.

Ebbene, secondo Giuseppe Dossetti "Quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è un diritto e un dovere del cittadino".

Certamente la frase di Dossetti era principalmente riferita ai fondamenti politico-sociali della Costituzione più che a questioni economiche, come ebbe a dimostrare anche prima della sua morte quando lanciò una campagna a difesa intransigente della Costituzione che, invece, in molte parti andrebbe ammodernata per superare alcuni suoi limiti e vincoli che furono imposti dal contesto storico del secondo dopoguerra, per rispondere alle mutate istanze di una società profondamente cambiata nel corso di oltre 60 anni, per favorire un nuovo sviluppo del nostro paese in un contesto economico di globalizzazione, per ridefinire le strutture e le funzioni delle istituzioni nazionali rispetto a quelle sovranazionali che hanno assunto sempre maggiore rilevanza nel corso degli ultimi decenni e che trovano fondamento anche in un mondo sempre più globalizzato.

Tuttavia, tra le libertà fondamentali e i diritti fondamentali dei cittadini ci sono le libertà di espressione delle proprie volontà e capacità individuali e autoorganizzate, anche nell'ambito delle attività produttive come condizione necessaria per la crescita ed il benessere economico, e il diritto di ricevere dallo Stato i servizi e le utilità che giustificano le contribuzioni fiscali e le regolamentazioni dell'azione privata.
D'altra parte, non solo nella cultura politica liberale ma anche in quella di matrice cattolico-sociale, anch'essa sostenitrice della sussidiarietà come base fondante dell'organizzazione sociale, lo Stato non può e non deve essere un'entità sovraordinata e dominante sui cittadini che lo formano e sulle strutture intermedie che essi realizzano per auto-organizzare la loro convivenza civile, le loro istanze collettive e le attività produttive funzionali ai loro bisogni e interessi.
Lo Stato deve essere un'istituzione che trova legittimità e funzionalità nella misura in cui è capace di operare a servizio dei cittadini, a titolo individuale o aggregato, per soddisfare i loro bisogni, interessi, obiettivi e meriti che sono e devono essere il riferimento fondamentale di ogni società strutturata in forma statuale.

Per questo, la frase di Dossetti assume maggiore valore per indicare ciò che potrà, o forse dovrà, succedere se questa deriva di potere del settore pubblico e parapubblico a danno di quello privato non troverà un punto di svolta e d'inversione di cui, però, allo stato attuale e con l'attuale classe dirigente pubblica e privata, non si vedono né i segnali né le possibili prospettive.



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