SCdM Posts - Perchè Profumo e Viola non hanno presentato anche un progetto di "slim down" per MPS? Riflessioni sui principi di management e di governance

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SCdM Posts - Perchè Profumo e Viola non hanno presentato anche un progetto di "slim down" per MPS? Riflessioni sui principi di management e di governance

SCdM
Pubblicato da SCdM in SCdM Posts · 31 Dicembre 2013

In questi giorni stiamo assistendo a un dibattito sulle vicende del Monte dei Paschi di Siena che ha come unico riferimento l'alternativa secca tra aumento di capitale immediato o rimandato rispetto all'ipotesi proposta da Profumo e Viola e bocciata dall'assemblea dei soci con a capo la Fondazione MPS guidata dalla presidente Mansi.
La posizione prevalente che emerge in questi giorni è quella di ritenere la proposta avanzata da Profumo e Viola come l'unica possibile. Tra molti di coloro che la sostengono, ci sono opinionisti ed economisti che affermano di ispirarsi a "ortodossi" principi liberali e che, tuttavia, dimostrano una visione del tutto parziale del contesto di riferimento, secondo uno schema da buoni e cattivi o, visto che si parla di una banca toscana, da guelfi e ghibellini. Peraltro, molti di questi commentatori furono, a suo tempo, del tutto silenti (o, perfino, sostenitori) di alcune delle operazioni che hanno portato al dissesto la più antica banca italiana.

Chi scrive crede di essere legittimato a poter esprimere un'opinione diversa da quella prevalente perché ritiene che un'effettiva cultura liberale, oltre alla condivisione di determinate visioni dell'economia e della società, richieda la libertà da schemi forzatamente contrapposti e ideologici e l'indipendenza (vissuta da alcuni come "eretica"), rispetto alle opinioni dominanti che, spesso, risultano essere del tutto conformiste o superficiali nella capacità di interpretazione e di risoluzione dei problemi rispetto agli effettivi contesti di riferimento e possono anche nascondere interessi di parte, sebbene mascherati da argomentazioni teoriche e tecniche.
E' proprio questa impostazione culturale che ha consentito a chi scrive, in tempi non sospetti, di evidenziare le "anomalie" delle operazioni condotte dal management di MPS (anche prima dell'era Mussari) che hanno minato la sopravvivenza della banca e che, in questa fase, porta a esprimere una diversità di opinione sulla posizione di Profumo e Viola, se non altro per la scarsa capacità di comprensione e di valorizzazione del contesto in cui questi manager si sono trovati a operare.
Così come chi scrive non può essere tacciato di difensore della nazionalità delle banche, avendo proposto grandi aggregazioni bancarie a livello europeo che favoriscano l’effettiva integrazione finanziaria e livello continentale, e di sostenitore delle Fondazioni bancarie, avendo da molto tempo espresso posizioni critiche al riguardo, indicandone tutti i limiti e proponendo la loro uscita dal controllo delle banche.

Detto tutto ciò, nel dibattito intorno all'aumento di capitale di MPS emerge la mancanza di riferimento a possibili ipotesi alternative che avrebbero potuto coniugare in altro modo, e se possibile migliore, i diversi interessi in campo che, di seguito, sono elencati in modo sintetico e con riferimento solo a quelli legittimi e "sostenibili" (escludendo quelli che rispondono a logiche consociative, protezionistiche e personali che hanno affossato finora la banca):
a) Dare una prospettiva di stabilità e di continuità all'azienda dopo le vicende del passato, tenuto anche conto dell'attuale crisi economica;
b) Rimborsare il prestito governativo, pena la nazionalizzazione;
c) Salvaguardare il valore della banca per l'economia locale dove essa ha il maggiore radicamento territoriale;
d) Definire il futuro delle attività che fanno riferimento al terzo gruppo bancario italiano a tutela del risparmio e del mercato dei capitali del nostro paese;
e) Garantire una risoluzione della crisi di MPS con il minore impatto sul patrimonio della Fondazione e sul capitale degli attuali azionisti di minoranza già ampiamente penalizzati dalle scelte scellerate del precedente management e di chi ha governato la Fondazione in passato.

La posizione affermata da Profumo e Viola ha risposto, di fatto, solo ai primi due punti, con modalità che avrebbero portato certamente la Fondazione e gli altri azionisti di minoranza a perdere tutto il loro capitale e a "svincolare" la banca dal suo contesto territoriale tradizionale (Siena e la Toscana).
In questo senso, non si può che ritenere quantomeno "singolare" la pretesa di Profumo e Viola che il principale azionista di MPS, non potendo sottoscrivere l'aumento di capitale, accettasse supinamente una soluzione che, per certo, l'avrebbe portato alla perdita quasi totale del capitale investito con il risultato finale della liquidazione (essendo la Fondazione fortemente indebitata per avere "scelleratamente" seguito l'aumento di capitale successivo alla "folle" acquisizione di Antonveneta).

Così come è doveroso rilevare, per come le cose sono apparse sugli organi di stampa, la mancanza da parte della Fondazione d’indicazioni alternative a quella dell'aumento di capitale, se non per tempi posticipati. E ciò non può che avere indebolito la posizione della Fondazione e permesso ad alcuni di ritenere che senza un aumento immediato di capitale, MPS sia destinata alla nazionalizzazione.

Tuttavia, alla luce del risultato dell’Assemblea e della posizione assunta dalla Fondazione, e secondo un punto di vista “pragmatico” che dovrebbe sempre caratterizzare un efficace management e una costruttiva leadership, si deve mettere in evidenza – a differenza di altri commentatori – come Profumo e Viola, in quanto titolari della conduzione della banca e come tali rispondenti anche agli interessi dei loro azionisti (rappresentati da soggetti diversi da quelli che li hanno nominati al vertice della banca), abbiano operato solo sull’ipotesi di aumento immediato di capitale per 3 miliardi di euro, formulato con lo schema del "prendere o lasciare", senza indicare altre possibili soluzioni che fossero maggiormente compatibili con gli interessi dell’attuale proprietà che ha il potere di decisione in assemblea.

L'impostazione proposta da Profumo e Viola può essere stata giustificata dalla valutazione dei due manager, dopo una fase di forti tagli e ristrutturazioni interne, che essa fosse l'unica praticabile o quella più immediatamente fattibile, presumendo che la Fondazione non avrebbe potuto esprimere una posizione diversa, anche per “sollecitazioni esterne”, e assumendo che ci fossero investitori internazionali interessati a entrare nel mercato italiano, ottimizzando le attività della banca con altre collocate all'estero.

Tuttavia, per com’è stata formulata e per la mancanza di altre possibili alternative anche per mostrarne i limiti, la posizione avanzata da Profumo e Viola si presta a generare supposizioni e interpretazioni diverse da quella della mera tutela dell'integrità e della stabilità della banca anche a costo di penalizzare gli attuali azionisti.
Il compito dei manager “professionali” è quello di lavorare su più ipotesi alternative nell'interesse delle aziende che amministrano e degli azionisti che le controllano e di perseguire quella che può generare maggior valore o è meno penalizzante e più praticabile rispetto ai vincoli e agli obiettivi esistenti.
Per tutto il periodo in cui Profumo e Viola sono stati al vertice di MPS e, sopratutto in questi ultimi tempi quando è emersa la posizione diversa della Fondazione, non si è sentito parlare di ipotesi alternative a quella del rapido aumento di capitale per 3 miliardi di euro.

Per come si è potuto vedere a posteriori (anche se alcuni l’avevano già capito e detto a priori), la strategia di sviluppo di MPS, nel corso degli ultimi 15 anni, è stata guidata da logiche politiche (e anche "personalistiche" di singoli individui e gruppi di potere) più che industriali, mediante una serie di acquisizioni fatte a prezzi eccessivi ("folle" nel caso di Antonveneta, ma eccessivi anche nel caso di Banca Agricola Mantovana e Banca 121) con la pretesa di diventare un major player nazionale in concorrenza con Unicredit e Intesa San Paolo.
Il risultato finale è stato quello che MPS è un gruppo bancario di dimensioni grandi ma insufficienti e con una posizione finanziaria incompatibile per sostenerlo.
E nella crescita “irrisolta” di MPS si possono vedere i limiti del mito della dimensione bancaria che ha prodotto non solo dissesti finanziari (nel caso di quelle diversificate in business diversi da quelli creditizi) ma anche bassi risultati in termini di produttività e di qualità dei servizi offerti e determinato livelli di complessità organizzativa oltre i limiti della capacità gestionale. In questo senso, le grandi banche possono essere anche “too big to fail” ma si stanno dimostrando “too big to succeed”, ossia incapaci di accrescere le performance produttive, economiche e gestionali, con minori ritorni di valore per gli azionisti e di utilità per i sistemi economici in cui operano.

Proprio per il profilo “incompiuto” prodotto dalla sua inefficace e costosa strategia di sviluppo, per MPS si sarebbe potuta discutere e verificare l’ipotesi di un piano di "slim down" con cui rimborsare il finanziamento governativo e ricapitalizzare la banca con un minore impatto sugli azionisti.

Un piano "slim down" prevede una drastica riduzione della dimensione e delle attività aziendali (“downsizing”), mediante la cessione di asset e/o la liquidazione dei business con risultati negativi e non strategici per gli obiettivi sviluppo successivi alla ristrutturazione aziendale che deve essere finalizzata a riportare l’impresa a focalizzarsi sul core business in cui può avere maggiori prospettive di sviluppo. Tipicamente, questa strategia è funzionale nel caso di aziende che hanno perseguito negative politiche di diversificazione o di espansione ma che possono mantenere un forte posizionamento e vantaggio competitivo nei business tradizionali in cui continuano ad avere effettive e distintive competenze e risorse e forti relazioni di mercato.

Nel caso di MPS, lo "slim down" comporterebbe un ritorno al suo profilo precedente – quello di banca di medie dimensioni concentrata nel Centro Italia – che svolga una funzione di supporto e di sviluppo per le realtà economiche locali, con cui ha primarie relazioni di mercato, in collaborazione con banche di maggiori dimensioni nazionali e internazionali.
Per raggiungere ciò, MPS dovrebbe cedere le attività bancarie acquisite nel corso degli ultimi 15 anni e che non hanno prodotto ritorni finanziari positivi e che sono collocate in ambiti territoriali diversi da quello tradizionale.

Sulla carta e in linea di principio (senza le necessarie conoscenze e verifiche empiriche, specifiche al caso in oggetto), questa soluzione potrebbe innanzitutto portare alle casse di MPS una liquidità adeguata che compenserebbe in misura significativa la richiesta di nuovo capitale e permetterebbe alla Fondazione e agli altri attuali azionisti di limitare la riduzione di valore delle loro azioni per come, invece, accadrebbe nel caso dell'aumento di capitale di 3 miliardi di euro.

In secondo luogo, lo "slim down" ridarebbe a MPS un profilo industriale più coerente, ossia quello di primaria banca territoriale che, peraltro, è una tipologia di banca necessaria per il nostro sistema economico, fatto di piccole e medie imprese che verrebbero meglio servite da banche strutturate ma a forte radicamento locale.

Inoltre, qualora si ritenga che senza adeguate regole d’integrazione bancaria cross-border con gli altri partner europei, si possa rivendicare ancora l'istanza di "difesa dell'interesse nazionale", questa soluzione consentirebbe di riallocare le altre attività bancarie che ora sono accentrate in MPS su entità, anche straniere, che non verrebbero, invece, favorite dall'acquisizione in toto del terzo gruppo bancario nazionale.

Come detto all’inizio, questa soluzione non deve essere pensata per favorire la continuità del controllo determinante della banca da parte della Fondazione. La Fondazione verrebbe garantita per i suoi interessi patrimoniali che, in futuro, devono essere destinati a perseguire i suoi obiettivi istituzionali e non per mantenere il controllo di MPS, se non per quote limitate e tali da non generare nuovamente le negative commistioni tra banca e politica.
Le Fondazioni possono essere state utili nella prima fase di privatizzazione del sistema bancario ma ora devono essere messe in condizione di non incidere sulla conduzione della banche, sia con limiti di controllo azionario sia con stringenti normative di governance per evitare le logiche cooptative e consociative che ne hanno minato la credibilità, il corretto funzionamento e il perseguimento delle finalità istituzionali.

Sulla carta e in teoria la soluzione dello "slim down" apparirebbe compatibile e opportuna per il caso MPS perché consentirebbe di risolvere la questione finanziaria mediante un più equilibrato e sistemico approccio alla diversità di interessi in gioco. E meglio giustificherebbe il finanziamento da parte del Governo perché finalizzato ad una fase transitoria necessaria per la ristrutturazione di MPS, piuttosto che determinare la successiva cessione a terzi con danni per gli azionisti penalizzati dalla vecchia gestione della banca e della Fondazione o, in alternativa, la nazionalizzazione.

Alla luce di queste riflessioni rimane la curiosità e anche la perplessità sul perchè l'ipotesi dello "slim down" non sia mi stata discussa e sviluppata dall’attuale management di MPS. O quantomento, non sia stato spiegato il perché essa non sia stata perseguita, indicando in modo trasparente gli eventuali svantaggi che avrebbe generato rispetto ai diversi interessi in campo.

C'è da sperare che, con il rinvio dell'aumento di capitale deciso dall'Assemblea dei soci, nei prossimi mesi ci possa essere qualche chiarimento in merito e siano più trasparenti le possibili modalità di risoluzione della vicenda MPS che, ricordiamoci, ha anche delle rilevanti implicazioni giudiziarie trattate, opportunamente ma in modo molto diverso da altre situazioni, al di fuori dei riflettori e dalla grancassa giornalistica e che, si spera, vengano gestite nel pieno rispetto della verità dei fatti e delle eventuali responsabilità dei soggetti coinvolti e senza influenze sui piani di risoluzione delle problematiche finanziarie della banca.



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