L'era del delirio - La "follia" delle regolamentazioni finanziarie e la loro induzione alle crisi.

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L'era del delirio - La "follia" delle regolamentazioni finanziarie e la loro induzione alle crisi.

SCdM
Pubblicato da SCdM in Economia e Finanza · 4 Settembre 2012
Di seguito, riporto l'articolo integrale di Marco Onado pubblicato dal Sole 24 Ore in cui viene chiaramente indicato come ormai anche a livello dei soggetti responsabili della definizione delle regole di funzionamento e di controllo dei mercati finanziari si stia prendendo coscienza che la logica di impostazione di questi strumenti sia alla base delle gravi disfunzioni dei mercati stessi e della mancanza di controllo e di tutela del pubblico risparmio e della stabilità dei mercati, obiettivi per cui invece dovrebbero esistere.

La critica fondamentale è quella che questi strumenti sono impostati su una crescente complicazione, articolazione, sovrapposizione delle regole e con sistemi meccanicistici e conformistici che tendono a accrescere la omogeneità e la uniformità dei comportamenti che portano alla paradossale crescita della volatilità e dell'instabilità dei mercati.
La logica suggerità in questo articolo - aihmé già affermata da molti e da tempo - è che queste regole possono funzionare se impostate su logiche più semplici e secondo principi diversi che tengano conto dell'articolazione delle diverse funzioni e dei diversi operatori dei mercati finanziari.
Le regole sono fondamentali per garantire un corretto funzionamento dei mercati. Ma se le regole sono sbagliate o eccessive possono generare ancora più danni. Un sistema più semplice e funzionale di regole permette di concentrare i controlli solo sugli aspetti fondamentali che sono alla base di un corretto ed articolato funzionamento dei mercati, soprattutto quando maggiore à la loro complessità.
Come dice uno dei motti che amo affermare: "La complessità è la via dell'universo. La semplicità è la via del successo." Per la logica paradossale che governa il funzionamento della realtà, la maggiore complessità può essere affrontata e dominata solo con strategie e politiche basate sul principio della semplicità.


Ma vorrei aggiungere - cosa che non viene indicata nell'articolo sebbene forse ricordando le regole del passato possa intenderlo - che ogni modalità di regolamentazione come Basilea 3, anche con impostazioni più semplici e funzionali, potrà funzionare solo se cambieranno tre fondamentali pre-condizioni:

La struttura dei mercati dei capitali deve essere basata sulla netta separazione delle funzioni per cui le banche universali devono cessare di esistere e si deve tornare con un sistema di banche specializzate per tipologia di funzioni: commercial and financing banking, investment banking, merchant banking, private banking, asset management.
La negoziazione di tutti gli strumenti speculativi (derivati e strutturati) solo su mercati regolamentati e con limiti al rapporto tra la quantità degli strumenti trattati ed il valore complessivo dei titoli sottostanti.
Una normativa anti-trust a livello globale che limiti il grado di concentrazione del mercato dei capitali favorendo una maggiore competizione tra gli operatori ed una loro minore influenza sui governanti e sulle autorità politiche.


Se queste condizioni non si potranno realizzare ci troveremo sempre in situazioni critiche.

In ogni caso, è importante che a livello di soggetti responsabili incomincino ad emergere chiare critiche alle logiche di governo dei mercati dei capitali e che si affermino principi e modelli che alcuni, visti anche come dei "rompi", da tempo avevano indicato come quelle necessarie per evitare le crisi e, successivamente, per poterne uscire con più rapidità e con maggiore funzionalità.



Basilea 3, la spirale della confusione

di Marco Onado, Il Sole 24 Ore, 4 settembre 2012


Non è una notizia se qualcuno attacca frontalmente Basilea e la strategia della regolamentazione finanziaria. Lo diventa, se le critiche vengono da uno dei più qualificati responsabili della vigilanza, nel convegno di Jackson Hole, di fronte ai banchieri centrali di mezzo mondo. Giornalisticamente parlando, è molto più del padrone che azzanna il cane. Andrew Haldane, responsabile della vigilanza della Bank of England, ha letteralmente sparato a palle incatenate, perché ha fatto risalire i difetti intrinseci di Basilea alla filosofia generale della regolamentazione che non è affatto cambiata dopo la crisi.


L'alluvione di nuove regole degli ultimi anni rischia di non risolvere alla radice il problema di rendere più stabili i singoli intermediari finanziari e il sistema nel suo complesso.

Partendo da un solido impianto teorico, che si rifà alla distinzione fra rischio (misurabile) e incertezza richiamata da Keynes fin nei suoi primi scritti, l'alto funzionario britannico dimostra come il sistema finanziario globale sia diventato sempre più complesso e basato su strumenti di misurazione dei rischi molto sofisticati, ma intrinsecamente fragili. Il clamoroso fallimento dei modelli di valutazione dei titoli strutturati è la prova provata che si estrapolavano rischi futuri da una base statistica gravemente inadeguata.

Il problema è che il regolatore si è illuso di poter inseguire la crescente complessità del mondo finanziario con regole sempre più complesse. Purtroppo, non è questa la strategia vincente. Intercettare le crisi è come prendere al volo un frisbee: potete affidare il compito ad un fisico che modelli la traiettoria ottimale o potete affidarvi ad un buon cane da riporto. L'esperienza insegna che la scelta più efficace è la seconda, cioè la più semplice (infatti il paper è intitolato "Il cane e il frisbee").


Gli accordi di Basilea sono nati trent'anni fa con una regola volutamente semplice, anzi tagliata con l'accetta, ma nel tentativo di renderla sempre più aderente alla realtà e di consentire alle banche di utilizzare i propri modelli interni (nell'ipotesi che il mercato sia sempre efficiente e dunque valuti i rischi meglio dei regolatori), ci si è infilati in una spirale di complicazioni che non assicura affatto una maggiore efficienza. Non solo perché aumenta la complessità dei testi (per le tre versioni di Basilea si passa da 30 a 347 a 616 pagine), non solo perché aumenta la probabilità che si utilizzino modelli tanto sofisticati quanto fragili, quanto perché non si rende affatto il sistema bancario più robusto.

Qui la critica di Haldane è spietata. Egli sostiene infatti che la sofisticazione di Basilea ha di fatto aumentato l'opacità: perché i metodi di ponderazione dei rischi e di definizione del capitale sono troppo eterogenei, applicati dai regolatori nazionali con criteri troppo diversi per consentire al mercato di distinguere fra le banche solide e quelle fragile. La regola semplice (un limite all'indebitamento complessivo, cioè fra totale dell'attivo e capitale "vero") è stata introdotta solo da Basilea 3, entrerà in vigore gradualmente ed è ancora insufficiente, perché un leverage pari a 33 volte è ancora gravemente inadeguato. Insomma, non solo il capitale delle banche è disciplinato in modo intrinsecamente sbagliato, ma è ancora del tutto insufficiente. Togliamoci dalla testa, è l'inevitabile conclusione, che avendo aggiunto un terzo piano alla torre di Basilea abbiamo reso l'edificio più robusto. Aumenta solo la confusione, conclude l'autore giocando sull'assonanza Basel-Babel. Un'ampia analisi statistica dimostra che la crisi finanziaria avrebbe potuto essere fronteggiata assai meglio con poche regole chiare.


Di qui la ricetta: «È tempo di ripensare l'architettura di Basilea» e per farlo bisogna «farla semplice», cioè «make it simple». Lo stesso slogan usato in vari studi pubblicati dal think-tank europeo Ceps e promossi da Stefano Micossi.

Ma l'involuzione di Basilea non è che l'applicazione al capitale bancario di un'autentica bulimia che sembra animare i legislatori mondiali, nell'ansia di tamponare le falle aperte dalla crisi finanziaria e di mettersi a posto la coscienza di fronte agli elettori inferociti. Il testo legislativo americano (Dodd-Frank Act) occupa quasi mille pagine, ma comporta regolamenti delle varie autorità che alla fine porteranno il totale a 30mila. Un'altra torre di Babele che aggiungerà complessità e opacità, al contrario di quanto aveva fatto il vecchio Glass-Steagall Act che imponeva divieti chiari e infatti occupava solo 37 pagine.

Insomma, il paper di Haldane è l'equivalente del grido liberatorio di Fantozzi sulla corazzata Potemkin e mette in discussione l'intero impianto della regolamentazione finanziaria, e non solo di quella di ieri, ma anche quella di domani.


Il problema vero è quale seguito avranno critiche tanto severe quanto fondate sul piano teorico ed empirico. Chi avrà il coraggio di ripensare dalle fondamenta un impianto regolatorio che aggiunge ulteriori dosi di complessità, ma rischia di non tutelarci contro un'instabilità finanziaria ormai endemica? È molto probabile che la voce di Haldane rimanga isolata nel mondo dei controllori (e degli stessi soggetti controllati): sono gli utenti dei servizi finanziari, a cominciare dalle imprese, che devono far sentire la loro voce ovviamente per il tramite di una politica che non vada sempre al traino dei regolatori e che sia capace di imporre una visione nell'interesse generale, come accadde su entrambe le sponde dell'Atlantico negli anni Trenta. Come allora, occorrono poche regole, ma basate su idee chiare. Altri tempi, altra finanza, ma anche altri politici.



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