Articolo 18: pregiudizi e prospettive

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Articolo 18: pregiudizi e prospettive

SCdM
Pubblicato da SCdM in Eventi e Media · 29 Marzo 2012

Articolo 18: pregiudizi e prospettive

di Stefano Cordero di Montezemolo
Panorama.it, 29 marzo 2012

Il dibattito di queste settimane sulla riforma del mercato del lavoro ci conferma che l’articolo 18 è vissuto proprio come un totem dai sindacati e dalle imprese.
Per i sindacati l’articolo 18 serve a propagandare la supposta difesa dei diritti dei lavoratori ma serve, soprattutto, a difendere le loro oligarchie dirigenziali che con questi strumenti affermano il loro potere di ruolo e di negoziazione attraverso i contratti collettivi nazionali e le ristrutturazioni con licenziamenti collettivi.
Per le imprese, soprattutto le pmi, l’articolo 18 serve a giustificare la minore disponibilità alla crescita dimensionale e all’aggregazione aziendale e le strategie di delocalizzazione per evitare i vincoli e le rigidità del nostro attuale mercato del lavoro.
D’altra parte, non si può negare che il peso relativo delle micro imprese in Italia sia cresciuto dagli anni ’70 con l’introduzione delle normative a garanzia dell’occupazione e del potere d’interdizione dei sindacati e con la forte conflittualità nelle relazioni industriali di quegli anni che ancora genera riflessi condizionati nella nostra classe imprenditoriale.
Solo per questi motivi l’articolo 18 andrebbe rimosso per eliminare ogni giustificazione per posizioni che sono in contrasto con la possibilità di un effettivo rilancio del nostro sistema economico e ormai obsolete nel rispetto delle mutate logiche economiche e competitive a livello globale.
D’altra parte, come ci insegnano le scienze psicologiche e sociali, le ristrutturazioni si possono realizzare se al fondo c’è una riformulazione dei valori e dei concetti che vengono attribuiti alle situazioni che si debbono cambiare per generare nuove condizioni di positività. Per questo, la riforma del mercato del lavoro dovrebbe essere affrontata facendo emergere come l’attuale regolamentazione sia in contrasto con i principi che il premier Monti intende perseguire per la sua azione di governo e che, almeno a parole, sono condivisi dalle diverse forze politiche e sociali: sostenibilità finanziaria, crescita economica ed equità sociale.
Le attuali regole sul mercato del lavoro spingono verso il basso la produttività dei lavoratori che si devono adeguare a logiche collettive, massive e omologative che penalizzano le qualità individuali e la possibilità che queste capacità possano essere incentivate e remunerate con benefici sui salari.
Tutto questo non può che portare ad una minore competitività, redditività e crescita economica e ad una minore capacità e volontà d’investimento con la conseguenza di una minore occupazione e remunerazione per i lavoratori e, altresì, ad una minore disponibilità di fondi pubblici necessari per sviluppare le politiche assistenziali e di garanzia alla mobilità, oltre, ovviamente, ad una progressiva ed irreversibile perdita di sostenibilità finanziaria sia pubblica che privata.
Ma l’attuale regime del lavoro riduce gli spazi di equità e, altresì, di democraticità, istanza che viene troppo spesso rivendicata dai leader sindacali senza avere l’onestà di riconoscere che i loro sistemi organizzativi e le loro politiche hanno una forte matrice autocratica.
In effetti, l’attuale mercato incentiva l’iniquità favorendo le discriminazioni tra le categorie protette e quelle precarie e non tutelate, tra categorie di imprese, tra settori d’impiego, tra gli strumenti di assistenza e di tutela e, soprattutto, riduce gli spazi di capacità e di responsabilità individuale (per singoli lavoratori e per gruppi di lavoratori) per legare, almeno parzialmente, i propri contratti e la propria attività agli obiettivi che possono garantire una maggiore stabilità lavorativa e la crescita delle condizioni economiche ed occupazionali.



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