ALTRA BANCA e ALTRA POLITICA: L’Italia ha pagato 3,4 miliardi di dollari per saldare il suo debito con Morgan Stanley su prodotti derivati.

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ALTRA BANCA e ALTRA POLITICA: L’Italia ha pagato 3,4 miliardi di dollari per saldare il suo debito con Morgan Stanley su prodotti derivati.

SCdM
Pubblicato da News & Press in Economia e Finanza · 19 Marzo 2012
L’Italia ha pagato 3,4 miliardi di dollari, ossia circa la metà di quanto incasserà quest’anno con l’aumento dell’Iva, per saldare il suo debito con Morgan Stanley. Si tratta di un debito che il governo italiano ha chiuso in termini di derivati e risale agli anni ’90. Rinnovare ancora il contratto, per l’Italia, sarebbe stato anche più oneroso che chiuderlo....adesso vorremmo sapere chi e perchè della classe politica ed amministrativa ha contratto questi contratti derivati !!! se si parla di responsabilità ed equità partiamo dai nomi e cognomi di chi ha procurato questi danni alle casse dello Stato ed ai contribuenti italiani.

L’ITALIA E I SUOI DERIVATI
Fabrizio Arnhold, Yahoo! Finanza, 16 mar 2012
L’Italia ha pagato 3,4 miliardi di dollari, ossia circa la metà di quanto incasserà quest’anno con l’aumento dell’Iva, per saldare il suo debito con Morgan Stanley. Si tratta di un debito che il governo italiano ha chiuso in termini di derivati e risale agli anni ’90. Rinnovare ancora il contratto, per l’Italia, sarebbe stato anche più oneroso che chiuderlo.
La notizia è dello scorso 3 gennaio, la banca d’affari newyorchese Morgan Stanley annunciava di aver tagliato la sua “esposizione netta” verso l’Italia di 3,4 miliardi di dollari, ma non entrò nei dettagli dell’operazione, senza spiegare agli investitori che il nostro Paese aveva sborsato l’intera cifra per uscire da una scommessa, rivelatasi perdente, sui tassi di interesse. La denominazione di “strumenti derivati” è molto ampia perché spesso all’interno di questa definizione si fanno rientrare sia attività sottostanti di riferimento reali (come il petrolio, l’oro o il grano), che quelle legate ad attività finanziarie come i tassi di interesse, valute, azioni ed indici azionari. E proprio questo secondo caso è quello che ha interessato l’Italia che negli anni ’90 aveva sottoscritto questi contratti con Morgan Stanley, diventati oggi dei fardelli troppo onerosi che pesavano sui conti pubblici. Meglio cancellare i contratti che rinnovarli, conti alla mano. E il costo sottolinea i rischi reali posti dai derivati che i paesi usano per abbassare i costi di indebitamento e mettersi al riparo dagli alti e bassi dei tassi d’interesse e dei mercati valutari, con la possibilità, però, che questi diventino un costo per i contribuenti. Secondo i dati raccolti da Bloomberg, il nostro Paese ha perso già 31 miliardi di dollari rispetto agli attuali valori di mercato in derivati, senza contare il debito record di 2mila e 500 miliardi di dollari.
“Queste perdite dimostrano la natura speculativa di questi contratti e la supremazia della finanza sui governi", spiega il senatore e presidente di Adusbef, Elio Lannutti. E non risulta difficile capire, considerata la delicata situazione economica del Paese - il secondo più indebitato di tutta l’Ue - il motivo per cui questa operazione non sia stata pubblicizzata a gennaio. Anche i vertici della stessa Morgan Stanley hanno preferito non aggiungere altri commenti. Per rendere meglio l’idea, basti ricordare che la banca d’affari americana ha registrato profitti per 600 milioni nel quarto trimestre dello scorso anno (ovvero una perdita equivalente per l’Italia), grazie alla risoluzione dei contratti con l’Italia stessa. Il rischio maggiore era che il nostro Paese non pagasse per intero la cifra dovuta. E i 600 milioni di dollari rappresentano, grosso modo, la metà di quanto fatturato dalle attività di trading a reddito fisso nel quarto trimestre e i guadagni legati agli spread.
Sempre Bloomberg riporta, nel dettaglio, di come l’Italia ha iniziato a utilizzare gli swap e le swaptions (opzioni per entrare in uno swap) sui tassi d’interesse per tagliare il debito, quando quello contratto ha sfondato la soglia dei mille miliardi di euro più di dieci anni fa. Molti bond venduti all’epoca avevano scadenze di 5 o 10 anni, e alcuni pagavano cedole fino al 10%: il nostro Paese ha usato gli swap per spalmarli su un arco temporale di 30 anni e oltre, riducendo i suoi costi per gli interessi emettendo swaptions e impiegando le entrate incassate dalla vendita dei derivati per pagare i debiti. Quando i tassi degli swap, che seguono i rendimenti dei bond tedeschi, sono crollati dopo il 2008, l’Italia si è trovata costretta a pagare alle banche denaro sui derivati.
A oggi, i cinque principali operatori di swap americani - Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e JPMorgan Chase - hanno un’esposizione netta complessiva sui derivati con l’Italia di 19,5 miliardi di dollari.


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